Nel mondo dell’estetica, alcune parole sembrano proibite come fossero veri e propri tabù. Tra queste, spicca “anamnesi”, una parola che, secondo un dirigente del Ministero della Salute, dovrebbe appartenere esclusivamente all’universo sanitario, riservata a chi pratica diagnosi. Ma davvero il termine “anamnesi” ha diritto di cittadinanza solo nel contesto sanitario? Oppure questa limitazione nasconde una visione ristretta e anacronistica, priva di reale fondamento linguistico e giuridico?

Queste sono le esatte parole del dirigente del Ministero della Salute, che, nel dover esprimersi su un’apparecchiatura destinata all’estetica, ha dichiarato quanto segue, parole che si commentano da sole: "Inoltre, la necessità di un’anamnesi preventiva richiesta per l’uso del dispositivo sembrerebbe implicare l’impiego esclusivo da parte di personale medico."

Anamnesi: una parola dalle radici profonde
Per comprendere il paradosso, occorre partire dalle origini del termine. La parola “anamnesi” affonda le sue radici nel greco antico, derivando da “anamnesis”, che significa “ricordo” o “memoria”. È un concetto ampio, che va ben oltre il solo ambito medico: rappresenta il processo di raccolta e richiamo di informazioni. Anamnesi significa, in senso letterale, “ricostruire il passato” – una pratica comune non solo a medici, ma anche a psicologi, storici, insegnanti, e, sì, anche agli estetisti.

Nel suo uso più vasto, infatti, l’anamnesi non è altro che l’atto di raccogliere dati su eventi passati, un processo che può essere adattato e applicato in vari contesti. Da questa prospettiva, è evidente come il termine “anamnesi” possa avere una collocazione logica e sicura anche nell’ambito estetico. Tuttavia, per il Ministero della Salute, l’utilizzo del termine in contesti non medici rappresenta un’invasione di campo, un’appropriazione indebita. Ma siamo sicuri che sia davvero così?

Perché “anamnesi” non appartiene solo ad amiti sanitari
Un significato ampio e inclusivo
Anamnesi è un termine di uso generale che indica la raccolta di informazioni su eventi passati, e non richiede competenze diagnostiche. In ambito estetico, l’anamnesi è una pratica fondamentale per la sicurezza: permette all’estetista di conoscere le condizioni del cliente, prevenire reazioni indesiderate e personalizzare i trattamenti in modo responsabile. Ignorare questo aspetto significa non comprendere l’importanza della parola stessa e dell’uso che ne viene fatto per il bene dei clienti.

Il potere della lingua di contestualizzare
La lingua italiana, ricca di sfumature, permette di specificare il contesto in cui viene utilizzato un termine. Così, proprio come esiste anche una “anamnesi estetica”, atta a contestualizzare il termine nel settore di competenza . Limitare l’uso della parola all’ambito sanitario è quindi un'interpretazione riduttiva, che non considera la ricchezza e la flessibilità della nostra lingua.

Anamnesi estetica come pratica di sicurezza
Nei centri estetici, l’anamnesi non è altro che un atto precauzionale, un momento di raccolta di informazioni utili per evitare possibili problemi durante i trattamenti. Non si tratta di una diagnosi o di un consulto medico, ma di una raccolta dati che permette all’estetista di svolgere il proprio lavoro con maggiore attenzione e responsabilità. Ignorare questa sfumatura significa negare un elemento essenziale della sicurezza e della professionalità estetica.

Le normative europee e l’anamnesi estetica
La questione non è solo linguistica: il Regolamento europeo, infatti, riconosce e promuove la pratica dell’anamnesi estetica come misura di sicurezza, separandola dal contesto medico. Questo supporto normativo sottolinea come l’anamnesi possa essere una pratica necessaria anche in ambiti non clinici, e negare questa distinzione significa limitare inutilmente il settore estetico, senza alcun beneficio per la salute pubblica.

Rigidità e incomprensione: un limite per l’estetica
Questa interpretazione rigida e limitata del termine “anamnesi” rivela una visione arretrata e scolastica del linguaggio e delle professioni. La lingua, così come le competenze, evolve, si adatta ai tempi e alle esigenze di chi la utilizza. Limitare l’uso di parole come “anamnesi” significa escludere il settore estetico da strumenti di tutela e protezione del cliente, strumenti che dovrebbero essere la base di una buona pratica professionale. Ma quante altre parole ancora sono state sottratte all’estetica per ignoranza o per una visione miope delle competenze?

La lingua è un bene comune: non rubiamo le parole
In conclusione, è fondamentale che la nostra lingua venga rispettata nella sua interezza e potenzialità. Escludere il termine “anamnesi” dal contesto estetico non solo è inutile, ma è anche dannoso per la categoria, che si vede privata di uno strumento essenziale di sicurezza. La lingua, come il settore estetico, evolve: negare questo significa frenare il progresso e limitare l’accesso a una maggiore tutela e professionalità.

Le parole che sono state sottratte al settore estetico vanno restituite tutte, senza eccezioni. E non solo le parole: anche la dignità professionale di chi ogni giorno lavora con serietà per garantire il benessere e la sicurezza dei propri clienti.